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La comunità intesa come Comunità Educante è una leva che può aiutare a mantenere in gioco le relazioni in essere, seppur virtuali e a distanza, fare comunità in maniera alternativa basandosi sulle strutture che abbiamo normalmente a nostra disposizione (staff, conca, sestiglia, squadriglia, noviziato etc…), dovrebbe aiutarci in questo compito. “Lo scout e la guida sono amici di tutti, e fratelli e sorelle di ogni altra guida e scout.”
Uno dei nostri poli educativi è la comunità educante, riusciamo a mantenere vivo questo aspetto del nostro stile educativo? Potremmo provare a rispolverare le vecchie catene telefoniche per scoprire come stanno i nostri ragazzi e le loro famiglie: è uno strumento potente e utile?. Il senso comunitario e di appartenenza a ciascun gruppo potrebbe essere alimentato anche dalla relazione con i genitori, non solo con gli educandi. Utilizziamo normalmente dei piccoli gruppi identificativi (le sestiglie, le squadriglie, le equipe per preparare le route) che potrebbero tornare molto utili in queste dinamiche particolari, trovare un esca (che sia il gioco, la costruzione di un racconto tutti assieme, una preghiera) per mantenere vivo il desiderio delle comunità.
I capi squadriglia hanno chiamato i loro squadriglieri per sapere come stanno? Forse prima tocca a noi capi farlo per primi, per essere d’esempio nella costruzione di una vita comunitaria telematica.
Domande banali: cosa hai mangiato oggi? Come stai? A che gioco stai giocando?
Veicolano verso un rapporto, distante si, ma al contempo caldo perché siamo chiamati, oggi più che mai, ad amare i bambini, gli adolescenti, I giovani che il signore ci ha affidato.
Non c’è più. La comunità come la intendiamo e la vogliamo noi scout non esiste più: non possiamo più vivere insieme. Deve essere un punto chiaro: non possiamo più “fare comunità”.
Al massimo possiamo farne memoria, possiamo tenerne viva la volontà e possiamo suscitarne la voglia. Non spingiamo sulla nostalgia della comunità: é un desiderio malinconico.
Inventiamoci piuttosto la nostofilia (neologismo mio), che é l’amore per tornare: vogliamo tornare alla comunità perché ci sono gli altri. E gli altri sono coloro ai quali appartengo.
La comunità è educante perché è occasione di vita condivisa: è in quella dinamica di fare tutti assieme che io mi scopro e scopro l’altro. Mi scopro simile all’altro (i.e. siamo umani), ma mi scopro diverso (io, evidentemente, non sono l’altro).
Il mostro che i bimbi hanno visto nel bosco dietro la casa, che diventa ogni giorno più brutto e cattivo con le aggiunte della fantasia di tutti. Non è più il mio mostro, é il nostro mostro:
ciascuno ne ha messo un pezzetto, ma è nato dall’esperienza che stavamo vivendo insieme.
L’esperienza della puzza di squadriglia, ce la possiamo dimenticare? Il vero caposquadriglia é quello che riconosce le magliette dalla puzza del sudore dei suoi squadriglieri: quelle magliette sanno di vita. Puzziamo tutti, ma di una puzza diversa. La siga di sgamo, cosa é più “comunità” di una siga di sgamo? In quel riconoscersi diversi rispetto ai “bacchettoni che non fumano”, ci scopriamo simili ad altri.
L’hike e il deserto, espressioni massime di “solitudine” hanno senso di esistere perché sono interruzioni della comunità: da lì partono e lì ritornano, per restituire quello che si è scoperto.
È l’esperienza condivisa che dona il senso alla comunità. Senza esperienza non c’è comunità. E senza comunità non c’è scoutismo.